Granaccio, un vino di pura passione                                                                                          di Luigi Salvo

Sempre più spesso mi piace parlare di vini non noti ovvero di quelli che mi danno l’opportunità di esercitare il compito che più mi entusiasma: scoprire e proporre prodotti che nascono e vivono per l’amore di chi li produce.

Incontro Agostino Sangiorgio produttore siciliano del comprensorio dell’Etna, che con passione e spirito di tradizione porta avanti la produzione d’uve Nerello Mascalese ed Alicante, la sua famiglia dal lontano 1807 coltiva vigneti intorno ai 750 mt. s.l.m. nel territorio di Biancavilla (CT). Nei due ettari di proprietà l’ultimo reimpianto, mi racconta, è avvenuto ad opera del padre nel 1973, le piante di Nerello Mascalese e d’Alicante settemila ceppi per ettaro sono state messe a dimora una dietro l’altra senza un ordine preciso, ecco perché le uve delle due varietà una volta raccolte compongono il “Granaccio” il vino che produce e che prende il nome da “Granache” il nome francese dell’Alicante. La prima annata di produzione in bottiglia è stata la 2007 per un totale di cinquemila pezzi, qualche migliaio in più saranno per la 2008. Mi piace molto la particolare etichetta, che è nata per caso ed è composta dall’antica scrittura dell’atto di vendita dei terreni alla famiglia Sangiorgio.  

Le importanti caratteristiche morfologiche del terreno da cui nasce il vino influiscono non poco in bottiglia, sono in parte di sabbia vulcanica ricca di ferro e potassio ed  in parte di formazione mista calcarea argillosa ricca di scheletro, il vino è ottenuto con criomacerazione a 2-3° e successiva macerazione a temperatura più alta, ed è affinato in acciaio per circa 8 mesi.

Il Granaccio annata 2007 nel bicchiere ha un colore rosso rubino scarico e trasparente, ha un naso d’efficace piacevolezza, frutta rossa, macchia mediterranea, tabacco e note minerali. In bocca l’appena accennata morbidezza lascia spazio alla freschezza del frutto ed alla mineralità, il tannino ancora da levigarsi accompagna un finale di bell’integrità. Mi è piaciuto nella sua lineare semplicità, il Nerello e l’Alicante si rincorrono e si susseguono, mostra un carattere proprio che lo rende interessante, godibile.

Infine mi piace sottolineare che Agostino Sangiorgio per il piacere della propria memoria storica gusto-olfattica produce ancora solo per se stesso dalle stesse uve un vino con un metodo antico, lo ottiene da un vecchio palmento affinandolo in antiche botti. In modo intimo me lo presenta in una bottiglia non etichettata, mi chiede di non giudicarlo organoletticamente ma di apprezzarne il piacere della tradizione che i suoi sentori evocano. Qui il degustatore non affonda, resta ammirato dalla poesia enologica.

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Luigi Salvo