"Sicilia En Primeur 2008"  intervento del Prof. Giampaolo Fabris

"Il vino siciliano: verso il postmoderno con un cuore antico"

Nel vasto arcipelago del largo consumo, il mondo del vino, è probabilmente quello che fa registrare il gap più vistoso tra potenzialità espansive - di cui esistono ampi presupposti tra i consumatori - ed una realtà sostanzialmente stagnante. Mentre a livello mondiale è previsto, negli anni a venire, un tasso di incremento intorno al 7- 8% in Italia si può solo affermare - non è comunque un dato da poco - che la forte contrazione nei consumi, in atto da diversi decenni, si sia ormai arrestata. Il macrofenomeno sottostante è noto. Il vino da consumo quotidiano, presente a tutti i pasti, da bere in quantità, prevalentemente sfuso, di qualità mediocre è ormai sul viale del tramonto. Ha perso in termini di volumi ma si è certamente riscattato sul fronte della qualità. Si beve meno ma si beve meglio. Il consumo è divenuto più occasionale, le dosi più contenute, si tende inoltre a concentrare i consumi al ristorante, alla sera, nei pasti importanti, durante i weekend e le vacanze. Un trend che si coniuga con l'orientamento ad una maggiore selettività, a spendere di più per una singola bottiglia ed a prestare più attenzione alla qualità. Anche se il termine qualità legato al vino è purtroppo altamente autorefenziale e non si confronta - per presunzione, per ignoranza, per disinteresse – con le declinazioni della stessa che esprimono il mercato o i segmenti emergenti. Ho, in più occasioni, affermato che poche bevande o alimenti hanno, come il vino, le carte in regola con quel sistema delle esse che la GPF&Associati ha formalizzato in un modello e che connota la modernità nel settore enogastronomico. Il vino ottiene punteggi elevati per quanto riguarda il sapore; la sensorialità: è difficile trovare un prodotto che mobiliti tutti i sensi come il vino; la supernaturalità, accentuata dalla presenza recente di vini biologici o a coltivazione integrata; la socialità con il suo contenuto tonico e moderatamente euforizzante; la salubrità che ben si coniuga con la tendenza attuale a consumi non smodati; la storia che si alimenta di forti legami con il territorio, modi di produzione che si perdono nella notte dei tempi; il sapere perché il vino è uno dei prodotti per cui è più espresso un genuino desiderio di acculturazione.

A questa reale - anche se non valorizzata - attualità culturale fanno riscontro fenomeni di consumo innovativi e di notevole rilievo. La diffusione recente dei winebar o delle enoteche la cui frequenza è prevalentemente alimentata da giovani. Ed è presso questo segmento che il vino comincia a contrastare quello che sembrava un inarrestabile primato della birra. Il crescente interesse per il turismo enogastronomico o per itinerari enologici promossi anche da lungimiranti tour operator o da cantine sociali lungo le Strade del vino. Il vino come oggetto di regalo in occasione di cene, piccola ospitalità. Il vino come must in molte situazioni di convivialità specie se collegate al tempo libero. Ai tanti indicatori di un rinnovato interesse da parte del mercato fa riscontro una straordinaria effervescenza da parte dei produttori e della distribuzione. Anche se è soprattutto quest'ultima ad intuire le potenzialità di mercato del vino: quindi posizioni privilegiate nei punti vendita, buoni assortimenti per varietà e profondità, abbinamenti con la gastronomia, promozioni pertinenti, contributo alla diffusione di una cultura del vino. Eppure anche i produttori si sono segnalati per un'inedita ricchezza di proposte: la consapevolezza - finalmente - dell'importanza dell'etichetta e della retroetichetta; la riscoperta di vitigni tipici ormai dimenticati; la razionalizzazione e modernizzazione dei modi di produzione; una maggiore attenzione alla distribuzione. Molte delle cantine o dei luoghi di produzione divengono suggestivi medium di comunicazione dell'identità del produttore.

Purtroppo anche le strategie più innovative rischiano costantemente l'inefficacia perché sono ben lungi da quella massa critica che sarebbe necessaria. Le carenze restano sovente sul piano del fine tuning con i nuovi orientamenti di un consumatore globale: per cui si ondeggia tra le suggestioni dei winecooler che distruggerebbero il mercato del vino, il piatto conformismo verso la nuova moda dei nouveaux, l'arrocco sulle tipologie più tradizionali. Credo che il ricorso a somellier e a winemaker d'Oltreoceano potrebbe - mi sia consentita la provocazione – risultare utile per un proficuo confronto con concetti di qualità meno  autocentrici. Tra le grandi, nuove opportunità del vino da segnalare anche Internet che - almeno teoricamente - potrebbe consentire a tanti piccoli produttori senza un'adeguata struttura distributiva di raggiungere direttamente il consumo.  Eppure, a fronte di un quadro tanto favorevole e l'elevato goodwill da parte di un pubblico sempre più vasto, lo scenario - specie per i produttori domestici – ha luci ed ombre. A meno di un drastico, ed improbabile, cambio di direzione. La polverizzazione del mercato fa sì che quasi nessun marca riesca ad avere - al di là di ristrette nicchie - visibilità ed identità. Due presupposti indispensabili per competere oggi sui mercati. Le strutture consortili latitano o sono troppo deboli o si attestano su vetero strategie aziendali. Anche i più titolati giornalisti del settore fanno - loro malgrado - un discutibile servizio continuando a segnalare vini prodotti in poche decine di migliaia di esemplari, praticamente introvabili e, per di più, solitamente troppo costosi proprio perché di eccellenza. E' probabile che sia la Grande Distribuzione in un prossimo futuro a riuscire nell'intento, sia pure non usando le private labels che nel settore funzionano poco, di rendere finalmente competitivo il vino.

Giampaolo Fabris